di Fabrizio Scampoli
Sembra davvero incredibile ma sono passati già 14 anni da quel triste giorno, quando il terremoto ridusse L’Aquila in macerie. E ogni 6 aprile mi torni in mente tu, coi tuoi sogni bruscamente interrotti, con le tue speranze senza più futuro, con la tua contagiosa allegria ormai spenta.
Caro Maurizio, in realtà ti ricordo tutte le mattine, quando varco l’ingresso della nostra scuola e mi trovo davanti la targa che dedica a te la nostra aula magna, o quando entro nell’aula che ospitava la tua, la nostra classe. Diciamo che è come se fossi rimasto con noi a scuola, e che in un certo qual modo riesci ancora a farmi compagnia, nonostante gli anni passino velocemente.
Ogni anniversario ripenso a quel giorno in cui, misteriosamente, sei tornato a scuola per salutare i tuoi professori del Geometra e per annunciarci con orgoglio la tua ormai prossima laurea in ingegneria. È come se tu, inconsciamente, avessi voluto abbracciarci e salutarci per l’ultima volta, come se avvertissi il triste presagio di ciò che ti sarebbe capitato dopo pochi giorni.
Maledetto terremoto, hai spazzato via anche i sogni e il futuro di tanti giovani meritevoli di un destino da protagonisti. A me, che ormai lascio troppe primavere alle spalle, rimane il ricordo perenne della tua gioia di vivere e della tua bontà d’animo. E resta anche una profonda certezza, la stessa di Sant’Agostino: “La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto”.
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